Perché la polmonite aumenta il rischio di infarto e ictus?
La polmonite comunitaria è un’infezione che in Italia colpisce ogni anno circa un adulto su 1.000, mentre nei soggetti anziani arriva a colpire una persona su 100.
Numerosi studi epidemiologici hanno collegato la polmonite ad un aumentato rischio di eventi cardiovascolari, sia nel breve termine, sia mesi o anni dopo la conclusione dell’evento infettivo.
La polmonite aumenta il rischio di infarto e ictus
Inizialmente l’associazione tra polmonite e malattia cardiovascolare è stata ipotizzata dopo aver osservato che la vaccinazione antinfluenzale, effettuata negli anziani, non solo riduceva i ricoveri per polmonite, ma era associata anche a un minor numero di infarti, di ictus e di altre complicanze cardiovascolari.
Successivamente, diversi studi epidemiologici hanno valutato nel dettaglio il rischio di complicanze nei pazienti ricoverati per polmonite: è emerso che l’incidenza di scompenso cardiaco e sindromi coronariche acute (in cui rientra l’infarto del miocardio) si attesta, rispettivamente, al 14,1% e al 5,3%.
Uno dei marker principali per la diagnosi di infarto del miocardio è la misurazione dell’aumento della troponina nel sangue.
Un altro studio ha dimostrato che oltre la metà dei soggetti ricoverati per polmonite aveva avuto un rialzo della troponina e a una persona su dieci era stato diagnosticato un infarto acuto del miocardio (IMA).
La maggior parte di questi infarti non era accompagnata dal classico dolore toracico, ma si presentava con un rialzo del marker cardiaco, con sintomi più aspecifici, come un’improvvisa difficoltà respiratoria, e con alterazioni dell’elettrocardiogramma (ECG) suggestive di danno cardiaco.
Dal punto di vista temporale, il rischio di sviluppare una patologia cardiovascolare è massimo nelle prime ore successive alla diagnosi di polmonite: oltre la metà degli eventi cardiovascolari, infatti, vengono registrati nelle prime 24 ore e circa il 90% entro la prima settimana.
Il rischio cardiovascolare in questi pazienti, tuttavia, non si azzera completamente.
Successivi studi hanno dimostrato come esso si mantenesse più elevato rispetto alla popolazione generale anche a distanza di anni dall’episodio infettivo.
Le complicanze a breve termine in corso di polmonite
Durante un evento infettivo, vengono innescate una serie di risposte da parte del sistema immunitario che comprendono il rilascio nel circolo sanguigno di molecole pro-infiammatorie che permettono il reclutamento di altre cellule attive sul sito dell’infezione.
I cambiamenti fisiopatologici che avvengono all’organismo durante questo periodo sarebbero in grado di causare alterazioni al sangue, ai vasi sanguigni e al cuore, che spiegherebbero le complicanze nel breve termine.
Lo stato infiammatorio sistemico innescato dalla polmonite determina uno spostamento dell’equilibrio fisiologico del sangue verso uno stato protrombotico e di iperattivazione piastrinica.
Questo si traduce in un maggior rischio di trombosi, evento alla base di molte complicanze cardiovascolari.
L’iperattività piastrinica in alcuni casi può essere un effetto diretto dei microrganismi coinvolti: lo Streptococcus pneumoniae, per esempio, uno dei principali agenti della polmonite comunitaria, è in grado da solo di attivare l’aggregazione delle piastrine e portare all’occlusione dei vasi sanguigni.
L’infezione, inoltre, può causare un danno alla parete dei vasi, che in risposta induce un aumento del rilascio di radicali liberi dell’ossigeno, con un aumento del rischio di danni alle cellule dell’organismo e di aritmie a livello del miocardio.
Infine, la polmonite aumenta le richieste metaboliche dell’organismo e in pazienti fragili può causare squilibri emodinamici che mettono a dura prova la funzione cardiaca.
Le complicanze a lungo termine in corso di polmonite
I meccanismi che spiegano l’aumento del rischio cardiovascolare a distanza di anni sono meno chiari rispetti al rischio a breve termine.
Tuttavia, i dati confermano che una quota significativa di pazienti con una pregressa polmonite sembra mantenere uno stato di perenne infiammazione, anche dopo la risoluzione clinica della patologia respiratoria.
La Proteina C Reattiva (PCR) è un marcatore di infiammazione aspecifico, cioè risulta elevato in presenza di uno stato infiammatorio, anche se non dice nulla sulle cause dell’infiammazione.
Alcuni di questi pazienti presentano una PCR elevata anche a distanza di mesi dalla conclusione della polmonite e questo stato di infiammazione cronica, che attraverso diversi meccanismi si autoalimenta, intacca la funzionalità del sistema vascolare e nel lungo termine può portare a una compromissione della funzione cardiaca e all’insorgenza di scompenso cardiaco, infarto o ictus.
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Dr Giuseppe Lavecchia – Specialista in Cardiologia
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