La morte cardiaca improvvisa è definita come una morte inaspettata, avvenuta nell’arco di un’ora in un soggetto apparentemente sano, per una perdita improvvisa della funzione cardiaca.
Spesso si verifica in soggetti che non erano a conoscenza di avere una malattia cardiaca e questo rende difficile la prevenzione. Essa rappresenta una delle principali cause di morte naturale e oltre la metà delle morti per cause cardiache.
Cause della morte cardiaca improvvisa
La morte cardiaca improvvisa non equivale all’infarto del miocardio, ma può avvenire durante un attacco cardiaco. Il meccanismo alla base è legato a un malfunzionamento del sistema elettrico del cuore, che diventa fortemente irregolare, aritmico.
Nel caso di una tachicardia ventricolare o una fibrillazione ventricolare la frequenza degli impulsi elettrici può salire a tal punto che il muscolo non è in grado di stare al passo e smette di pompare il sangue al resto del corpo. Il primo organo a risentirne è il cervello, infatti l’assenza di flusso causa una perdita di coscienza che porterà alla morte il soggetto se non si interviene tempestivamente.
Sintomi della morte cardiaca improvvisa
Il soggetto prima di perdere coscienza può riferire palpitazioni, senso di vertigine ma spesso non sono presenti sintomi. In presenza di un soggetto che ha perduto coscienza, non respira e non ha il polso carotideo (pulsazione percepibile lateralmente alla trachea) è fondamentale allertare il 118 (o il 112 in alcune regioni) e iniziare le manovre di compressione toracica, che garantire un minimo di flusso cerebrale fino all’arrivo dell’ambulanza e del defibrillatore.
Quali sono i fattori di rischio?
I maggiori fattori di rischio associati all’arresto cardiaco e alla morte cardiaca improvvisa sono:
- un precedente infarto cardiaco o un precedente arresto cardiaco, soprattutto nei sei mesi successivi all’evento;
- una malattia coronarica, cioè delle arterie che portano sangue al cuore stesso;
- molteplici fattori di rischio cardiovascolari come fumo, ipertensione, diabete, ipercolesterolemia e storia familiare di malattie cardiache;
- una riduzione della funzione del ventricolo sinistro o insufficienza cardiaca;
- cardiopatia ipertrofica;
- malattie cardiache congenite come la sindrome di Brugada, la sindrome di Wolf-Parkinson-White, la sindrome del QT lungo (quest’ultima può insorgere anche tardivamente o essere causata da alcuni farmaci);
- alterazione dei livelli di potassio e magnesio nel sangue (legato ad alcuni farmaci o patologie come l’insufficienza renale);
- abuso di sostanze ricreative come la cocaina.
Prevenzione primaria della morte cardiaca improvvisa
La prevenzione primaria della morte cardiaca improvvisa è indicata ai pazienti con un alto rischio di sviluppare un’aritmia fatale e attualmente il trattamento più efficace, oltre alla gestione delle cause sottostanti, è l’inserimento di un defibrillatore automatico impiantabile (ICD).
Esso viene impiantato chirurgicamente sottocute e collegato al cuore con degli elettrodi, dove registra l’attività elettrica delle cellule e interviene con una scarica nel caso in cui rilevi un’alterazione del ritmo.
Selezione dei pazienti a rischio
Attualmente la selezione dei pazienti candidati al trattamento avviene per mezzo della valutazione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro, che deve essere inferiore al 35%. Al di sotto di questo valore il ventricolo non pompa il sangue in maniera efficace e rappresenta un indice di gravità della malattia sottostante. Questo parametro, tuttavia, non è sufficiente ad individuare tutti coloro che potrebbero beneficiare dall’utilizzo di un defibrillatore interno.
Il ruolo delle tecniche di imaging
La risonanza magnetica cardiaca, l’elettrocardiogramma da sforzo e le tecniche di imaging nucleare si stanno rivelando importanti per identificare quei pazienti che potrebbero trarre beneficio da un ICD.
Esse consentono di visualizzare sia la presenza di ischemia miocardica, sia la presenza di anomalie del tessuto (per esempio una cicatrice) che possono portare a una morte cardiaca improvvisa nella cardiomiopatia ischemica e non ischemica.
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Bibliografia